LO STORMO
La GRU CENERINA è un volatile di grandi dimensioni, ha un piumaggio di colore grigio nella maggior parte del corpo, sebbene presenti delle zone più scure sulle spalle e sulla coda.
La GRU AQUILANA è alta tanto da sovrastare l’intera città. Se la osservi da lontano riesce ad incorniciarla trasformandone lo skyline. Si presenta di vari colori: rossa, bianca, gialla. In alcuni momenti dell’anno, la notte, luci colorate ti permettono di distinguerne il contorno, una sagoma custode della città.
La GRU CENERINA si riposa in acqua poggiando il corpo su una zampa sola.
La GRU AQUILANA si riposa soffermandosi su un’unica zampa, ben piantata a terra. Riposa soltanto a comando, secondo il volere umano. A volte rimane immobile per molto tempo, tanto che osservandola ti chiedi se si sia mai mossa, e se si muoverà mai. Altre volte è instancabile e quando si ferma è solo per andarsene.
La GRU CENERINA è un uccello migratore, si muove in stormi percorrendo lunghe distanze.
La GRU AQUILANA è arrivata all’improvviso, si può dire con un grande stormo. Prima c’era qualche esemplare, ma in numero talmente esiguo che nessuno ci faceva caso, poi sono arrivate tutte insieme ed hanno occupato la città. Ognuna ha scelto il suo angolo, chi verso il centro, chi nella periferia. Penso si siano trovate bene perché dopo 11 anni ancora non se ne sono andate, forse hanno modificato la loro natura o forse cercavano solo un luogo dove fermarsi.
A volte, se le osservi in una giornata di vento, le vedi danzare e pensi che forse anche loro non vedono l’ora di migrare altrove.
Elena Bianchi
Provvisorietà
[prov-vi-ṣo-rie-tà]
s.f. Inv.
1.Sussistenza che presuppone una soluzione di ripiego, non definitiva.
2.Indeterminatezza associata a superficialità e a difetto di ponderazione.
E’ il 2013 quando incontro L’Aquila per la prima volta, sono passati quattro anni dal terremoto del 6 aprile 2009.
Ritorno per caso, ho un paio di giorni liberi durante un viaggio di lavoro, la città è di strada e mi sembra una buona occasione per rivederla. E’ la fine di agosto del 2019 e sono passati dieci anni dalla scossa che ha spaccato la città e la sua comunità.
Ritrovo una città ancora per la maggior parte deserta. C’è gente in giro, non poca, ma ha l’aria di essere di passaggio, turisti per lo più. Mi aspettavo di trovare molto rumore, i cantieri che sono comparsi ovunque, ognuno con la sua gru a indicarne la presenza, come quegli spilli che segnano luoghi precisi su una cartina appesa a un muro. L’Aquila è il cantiere più grande d’Europa. Invece ritrovo una città tutto sommato silenziosa, il vociare di qualche operaio nei vicoli del centro, nulla che faccia pensare all’esistenza di una comunità tornata ad essere presente. Ancora troppo poche persone sono tornate a vivere nel centro storico, a riportare lì le proprie attività. Rimane persistente una sensazione di provvisorietà. Camminando da piazza Palazzo verso le principali arterie stradali che circondano il centro l’atmosfera è rimasta ancora piuttosto desolante.
Poi ci sono le gru. Alzi gli occhi e sono ovunque, tagliano il cielo nei vicoli, sembrano stare di guardia. Presenti in massa a ricordare che la normalità è ancora di là da venire. Hanno l’aria sfacciata di chi vuole restare ancora dieci anni almeno. “Arrivederci”, ti dicono. “A presto. Dopo tutto dieci anni passano in fretta in questo nostro paese tutto sbagliato.”
Il testo che segue è tratto da un articolo di Rossella Muroni, ecologista e deputata di Leu, pubblicato il 5 aprile 2019 nella rubrica TuttoGreen dell’edizione on-line de La Stampa.
«Ti accorgi che stai arrivando a L’Aquila non dai suoi campanili, o dal profilo della città che compare all’orizzonte, ma dalle gru che ne fanno il cantiere più grande d’Europa.
[…] Dopo il terremoto del Friuli, nel 1976, si decise di ricostruire prima le fabbriche, poi le case e infine le chiese e i monumenti […] A L’Aquila invece si è scelto di ricostruire prime le chiese, molte attività commerciali sono ancora nei moduli temporanei, come anche la quasi totalità delle scuole, e migliaia di cittadini sono tuttora fuori dalle loro case […] e scelte fatte nel momento dell’emergenza l’hanno stravolta. Si pensi alle 19 new town costruite a corona intorno al cratere, dove però ancora oggi mancano i servizi essenziali e che in alcuni casi sono state evacuate per il rischio crollo dei balconi.
[…] 4.200 nuclei famigliari sono ancora assistiti e circa 10 mila persone vivono ancora nelle new town, che delle oltre 700 attività commerciali presenti nel centro storico fino al 6 aprile 2009 solo 86 sono tornate in vie e piazze centrali. Da cui mancano anche circa 8 mila studenti fuori sede, che prima del sisma avevano fatto proprio del centro il loro luogo d’elezione […] al dolore e alle ferite inferte dalla scossa delle 3 e 32 del 6 aprile 2009, si è aggiunto anche il disagio di dover vivere divisi, di una comunità forzosamente frammentata, senza riferimenti.
[…] Oltre al ritardo, la ricostruzione sconta la mancanza di una visione di insieme e una scarsa attenzione alla qualità urbana. E la società civile, sempre vivace anche nei momenti più duri del post-sisma, fatica a ricostruire il tessuto sociale cittadino […] Così se anche i giovani stanno tornando a frequentare il centro, questo non basta a restituire spirito e identità dei luoghi […] E L’Aquila sta diventando suo malgrado una città di paradossi: è il cantiere più grande d’Europa ma anche l’edilizia, che dopo il sisma era l’attività trainante, oggi è in crisi e perde addetti […] Nei paesi del cratere e nelle frazioni la ricostruzione delle scuole doveva essere un segnale di speranza per le comunità, ma oggi quegli stessi simboli rischiano di restare vuoti e chiusi per via dello spopolamento.»